sabato 30 agosto 2014

Nel giardino di Monet

 
Giverny, giardino di Monet, il bacino delle ninfee - Foto Mara Bagatella 2014


Giverny, giardino di Monet, il bacino delle ninfee - Foto Mara Bagatella 2014


Giverny, giardino di Monet, aiuola - foto Mara Bagatella
Nel 1883, Claude Monet affittò una grande casa con un frutteto e un orto a Giverny, in Normandia, dove potè dedicarsi alle sue due passioni: la pittura e la botanica. 
Tranne per qualche breve periodo, egli non abbandonò più la sua dimora, traendo dal suo meraviglioso giardino - continuamente fiorito dall'inizio della primavera alla fine dell'autunno - lo stile essenziale della sua opera.

Quando Monet  si sistemò a Giverny, la casa possedeva un orto modestissimo, che egli trasformò ben presto in un affascinante giardino alla francese, il "clos Normand".

Solo dieci anni più tardi vi aggiunse il giardino acquatico dove iniziò a coltivare le ninfee, i fiori d'acqua che egli continuò a dipingere più e più volte, per il resto della sua vita.



 

Giverny, le ninfee di Monet - foto Mara Bagatella 2014
Intorno alla proprietà di Giverny, l'artista eseguì la serie di dipinti dei pioppi, dei covoni di fieno e le grandi tele dedicate alle ninfee, custodite al Museo de l'Orangerie di Parigi.

Oggi la casa e il giardino di Monet sono una rinomata meta turistica, che quest'anno sono riuscita a visitare anch'io.


Purtroppo il tempo non era buono, ciononostante il giardino era un tripudio di colori e sono riuscita a scattare lo stesso qualche foto decente.

Camminare tra quelle aiuole è stato emozionante: anche se era pieno di turisti di ogni nazionalità, pareva davvero di essere all'interno di un grande quadro impressionista!


Giverny, casa di Monet, viale fiorito di fronte all'ingresso - foto Mara Bagatella

lunedì 11 agosto 2014

Manuale del cacciatore di bufale (1)

Premessa

Non sono una giornalista, né una debunker, quindi vi chiederete come mai ho deciso di affrontare l’argomento delle bufale in Internet in un blog che parla di didattica dell’arte.

La risposta è molto semplice: perché sono un’insegnante e mi occupo di istruzione e cultura.
Due cose importantissime, alle quali ho dedicato la mia vita e che l’inarrestabile diffusione delle bufale sta mettendo a repentaglio.
Io amo Internet, e considero il Web una grande risorsa, ma, come tutti gli strumenti molto complessi, non può essere utilizzato alla leggera.
Fareste guidare una Ferrari a qualcuno che non ha la patente?

Ebbene, sappiate che ci sono bambini di 8/9 anni che hanno un profilo su Facebook.
Come intendiamo proteggerli? Come crediamo di poterli educare all’uso consapevole di qualche cosa che non conosciamo a fondo nemmeno noi adulti?
E, soprattutto: quanto tempo dovrà passare prima che la Scuola Pubblica, l’Ente preposto all’Istruzione, all’Educazione, alla diffusione della Cultura, si faccia finalmente carico di questo problema?
Io non lo so.
Ma non intendo aspettare.

Ogni giorno, là fuori, c’è gente che inventa le notizie più strampalate solo per esibizionismo, gente che fomenta odio con bufale a sfondo razzista e politico, gente che distrugge sistematicamente gli sforzi di ricercatori seri pubblicando articoli pseudoscientifici a cui la gente crede ciecamente, dato che non ha la capacità di distinguere e selezionare le notizie che arrivano dalla Rete.

E chi mai dovrebbe assumersi l’onere di educare le persone al ragionamento e allo spirito critico?  Chi dovrebbe fornire gli strumenti per comprendere la realtà e sapersi orientare tra la miriade di informazioni da cui ci troviamo quotidianamente bombardati?
Chi, se non la Scuola?

Fino a quando lasceremo che pochi debunkers, animati solo da buona volontà e spirito di volontariato facciano un lavoro che dovrebbe essere nostro?

Queste sono le domande che mi sono posta negli ultimi mesi, e alle quali sto cercando di dare risposta con questo lavoro, che mi auguro venga copiato, diffuso, utilizzato il più possibile, che diventi più virale di una catena di S. Antonio.

In realtà, io non sto inventando nulla, sto soltanto raccogliendo il materiale messo a disposizione da altri, rielaborandolo e riordinandolo, in modo che risulti facilmente comprensibile ai miei alunni. A lavoro ultimato, diventerà un vero e proprio libretto, che tutti potranno scaricare, stampare, diffondere.

Ringrazio Maicolengel di “Bufale un tanto al chilo” per la fattiva collaborazione, e Paolo Attivissimo per il materiale a cui sto attingendo e per essermi stato di ispirazione.

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MANUALE DEL CACCIATORE DI BUFALE

Parte Prima: 
COME RICONOSCERE UNA BUFALA ON LINE

La maggior parte delle bufale in Internet sono facili da riconoscere, basta far caso alla presenza di alcuni indizi che possono essere rilevati analizzando il TITOLO, il TESTO e l’IMMAGINE a commento del post.


1 -IL TITOLO

 
Spesso il titolo è “urlato”, cioè scritto con caratteri molto grandi, tutto in maiuscolo, e vi compaiono uno o più punti esclamativi. Questi espedienti grafici sono usati per attirare l’attenzione di chi legge, come se qualcuno stesse “gridando” la notizia; infatti, scrivere usando solo caratteri MAIUSCOLI nei commenti dei social network o nei forum on-line, equivale a “urlare” ed è considerato segno di maleducazione. Chi lo fa vuole esprimere in quel modo sentimenti di rabbia o esasperazione, e sta cercando di attirare l’attenzione.


Inoltre, utilizzare molti punti esclamativi al termine di una frase è superfluo e tipico degli scritti informali. Non è un vero e proprio errore, ma di solito si usa in lettere e messaggi tra amici, e non dovrebbe mai essere usato nei libri o negli articoli di giornali.


I titoli “allarmistici” sono un altro forte indizio di bufala: appelli a far girare la notizia “prima che venga cancellata da Internet”, oppure la parola “CENSURA”  e i suoi derivati all’interno del titolo; inviti dai toni perentori come “SVEGLIAAAA!!!”, “è UNO SCANDALO!!!”, “GUARDATE!!!”, oppure sostenere che si tratta di informazioni SEGRETE che qualcuno vi sta tenendo nascosto.


I titoli che non corrispondono ai contenuti dell’articolo sono un chiaro segnale che si tratta di una bufala: infatti se vi stanno mentendo già dal titolo, figuriamoci quel che seguirà...




2- IL TESTO
 
Contraddizioni o errori grammaticali grossolani appaiono spesso nelle bufale. Potete riconoscere facilmente testi tradotti malamente con sistemi automatici per la presenza di frasi sconclusionate, o per l’uso scorretto della punteggiatura.


A volte l’intero articolo manca di logica, ma per capirlo, occorre leggerlo fino in fondo. Se compaiono contraddizioni evidenti, allora si tratta di una bufala.


È importante verificare se sono presenti riferimenti a date, persone, nomi, aziende, indirizzi, leggi o documenti. Se non ci sono riferimenti precisi, è molto probabile che siate al cospetto di una bufala.
Bisogna sempre ricordarsi che esistono le “5 W del giornalismo”, che sono preziose in questi casi:


WHO («Chi»)
WHAT («Che cosa»)
WHEN («Quando»)
WHERE («Dove»)
WHY («Perché»)


Se uno o più di questi elementi, necessari alla stesura di un articolo, manca, siete sicuramente di fronte ad un grave caso di pseudo-giornalismo, e probabilmente anche di una bufala.
Se questi elementi sono presenti e volete scoprirne di più, potete mettervi “a caccia” utilizzando i motori di ricerca (il più conosciuto è Google). 

Come si fa?
Si immette nella casella di ricerca una frase tratta dal messaggio.
Meglio una frase intera, non una singola parola: ricordiamo sempre che un motore di ricerca non è un essere umano, ma un programma molto complesso, che funziona confrontando le parole che scriveremo con quello che già si trova nel suo archivio. 


Il grosso problema nell'uso dei motori è proprio quello di trovare le parole che identificano ciò che ci interessa in modo univoco, cioè una serie precisa e piuttosto insolita di parole che difficilmente compariranno in messaggi diversi da quello che sto cercando.
Se così facendo, la notizia non viene trovata nei siti autorevoli (riviste di settore online, CNN, BBC, Amnesty International, per esempio), è probabile che sia una bufala.


3- L'IMMAGINE
 
L’immagine che accompagna un post su Facebook o su un sito internet è importantissima, e non viene mai scelta a caso. 


Molto spesso, non è solo la prima cosa ad essere notata dagli utenti ma, purtroppo, anche l’unica.

Un’immagine shoccante e un titolo urlato sono tutto ciò di cui ha bisogno un abile creatore di bufale, dato che, nella maggior parte dei casi, gli utenti condividono il link senza nemmeno aprirlo.
La prima regola del buon cacciatore di bufale, quindi, è di non condividere mai una notizia senza prima aver letto e analizzato per intero il testo (vedi punto 2).


Le immagini che accompagnano le bufale sono ingannevoli e presentano delle caratteristiche ben precise: infatti sono scelte per attirare la nostra attenzione, proprio come accade nella pubblicità. 


Possono essere:
a) Immagini shoccanti: mirano a destare sentimenti forti e immediati come odio, sdegno, paura, rabbia, compassione. Bambini in letti di ospedali, o che presentano sul corpo ferite o lividi; anziani in miseria che frugano nei cassonetti in cerca di cibo; scene di violenza, oppure con espliciti riferimenti sessuali. 


Quasi sempre si tratta di immagini fuori contesto, cioè che non c’entrano nulla con la notizia in questione; vecchie foto che chiunque può trovare sul web, scaricare e poi usare per confezionare la propria bufala.
Possono essere utilizzati a questo scopo fotogrammi tratti da film o immagini scattate sui set cinematografici… tanto per risparmiare sugli effetti speciali.



Un paio di esempi: estate 2014, una scultura usata per gli effetti speciali del film “Pirati dei Caraibi” viene spacciata per il “cadavere di una sirena” trovato a Lampedusa.




La foto di Steven Spielberg sul set di Jurassic Park è stata diffusa su Facebook con una didascalia che affermava si trattasse dell’uccisione di un animale raro da parte del noto regista.

Incredibilmente, un gran numero di persone ha condiviso l’immagine con commenti di rabbia e insulti verso Spielberg e rammarico per il povero animale ucciso!


b) Immagini di scarsa qualità, molto sgranate, sfuocate, senza attenzione per la composizione o l’inquadratura… quasi mai le foto che “corredano” le bufale sono scattate da professionisti. Un buon modo per riconoscerle, quindi, è quello di curare il nostro gusto e imparare a distinguere le immagini belle da quelle brutte. 
Ricordate: se siamo abituati alla bellezza e alla qualità, tutto ciò che è brutto e malfatto “salta subito all’occhio”.

c) “Effetti speciali” scadenti sono un altro forte indizio della presenza di bufale: infatti, anche se ormai tutti abbiamo dei programmi di fotoritocco installati sul nostro PC, solo pochissime persone li sanno usare bene.
Un fotoritocco malfatto è facile da riconoscere se si ha un occhio allenato.


d) Collages di immagini che non c’entrano nulla l’una con l’altra, sono un modo per “collegare” tra loro eventi, luoghi, personaggi, anche quando il collegamento, in realtà, non esiste.


e) Anche i colori sono importanti: uno sfondo rosso o giallo (colori caldi) attira l’attenzione, uno sfondo nero può servire ad introdurre un contenuto “misterioso”, il verde è utilizzato per suggerire l’idea di “natura” e di salute” eccetera.


I colori hanno un effetto psicologico molto forte su tutti noi. I pittori lo sanno da secoli, i pubblicitari da qualche decennio.
Oggigiorno lo sanno anche i creatori di bufale, per questo è importante che anche noi ne siamo consapevoli.



(continua...)

mercoledì 6 agosto 2014

Un lavoro di gruppo: le Storie della Genesi di Wiligelmo

Quando si decidono i programmi annuali? 
Ufficialmente, bisogna consegnare i programmi alla segreteria della scuola entro novembre, ma io (e penso molti altri miei colleghi) li decido ben prima, già durante le vacanze estive, o nei primissimi giorni di settembre, quando ancora la scuola non è iniziata.
Tuttavia, non di rado mi è capitato di dover riadattare la programmazione durante il corso dell'anno scolastico, a volte anche di doverla letteralmente sconvolgere.

Piccoli adattamenti capitano di continuo, e sono normali. Ogni classe è diversa, gli allievi non apprendono tutti alla stessa velocità. Può succedere di dover ripetere degli argomenti, di soffermarsi su un'esercitazione più a lungo del previsto.

Sostituire completamente un'attività con un'altra, invece, è meno frequente.
Mi è successo lo scorso anno scolastico (2013/14) di dover imbastire in tutta fretta un laboratorio per approfondire un argomento relativo all'arte romanica.
A me sembrava semplice, invece le mie classi del secondo anno lo avevano appreso troppo superficialmente.
Me ne ero accorta dai risultati delle verifiche scritte. I punteggi erano troppo bassi. Le risposte alle domande aperte erano povere ed imprecise.
Non che ci fosse stato un gran numero di insufficienze, ma l'apprendimento di quel particolare argomento appariva di livello tanto superficiale che ero sicura sarebbe stato perso nel volgere di poche settimane, forse addirittura giorni.

Che potevo fare? Avevo due alternative: passare all'argomento successivo, sperando che si trattasse semplicemente di un trascurabile errore di percorso, oppure rifare tutto, cambiando strategia.
La prima strada poteva essere valida quanto la seconda: infatti l'insegnamento della storia dell'arte non è per forza di cose sequenziale. Comprendere l'arte romanica non è un requisito indispensabile per capire il Rinascimento.
Tuttavia, se gli alunni di 3 classi non si erano appassionati, e non avevano compreso bene quei contenuti, significava che qualcosa  nel metodo non aveva funzionato, e non volevo rischiare di ottenere gli stessi insoddisfacenti risultati anche con l'argomento successivo.


Ho quindi optato per la seconda soluzione, ed ho organizzato un lavoro di gruppo
I lavori di gruppo sono molto amati dagli allievi, e poco dai professori, perchè sono impegnativi e difficili da gestire.
Hanno però un innegabile vantaggio: se anche dovessero rivelarsi poco efficaci da un punto di vista didattico, lo sono sempre sotto il profilo educativo e umano.
Lavorando insieme, le persone imparano a conoscersi, collaborare, gestire i conflitti, e questo io lo ritengo un apprendimento fondamentale, soprattutto in un'età delicata come la preadolescenza.

Inoltre, se dal punto di vista quantitativo i risultati possono essere inferiori alle aspettative, sotto il profilo qualitativo non lo sono mai.
Difficilmente, un ragazzo dimenticherà una cosa appresa durante un lavoro di gruppo, perchè gli stimoli emotivi che riceve durante quell'attività rendono l'apprendimento più significativo.

Con questo lavoro di approfondimento su Wiligelmo e la scultura romanica, volevo ottenere principalmente due risultati: un coinvolgimento maggiore dei ragazzi e una maggiore autonomia nell'apprendimento, oltre ad una conoscenza maggiore del Libro della Genesi, sul quale si basano le sculture di Wiligelmo.



Infatti, ero rimasta molto colpita constatando che alcuni prerequisiti che io davo per scontati, non lo erano affatto. 
Quando io avevo 12 anni, era normale per me sapere chi fossero Adamo ed Eva, Caino e Abele. Ma per i dodicenni di oggi non lo è più.
E non crediate che il motivo sia il numero crescente di alunni appartenenti ad etnie e religioni diverse nelle classi. Ho constatato spesso che ragazzi di religione musulmana o induista conoscono i personaggi dell'Antico Testamento meglio di molti italiani di religione cattolica.



Il motivo lo lascio indagare ad altri, a me questa ignoranza in materia religiosa interessa per motivi pratici: quando devo affrontare argomenti relativi all'arte medievale è indispensabile che essi conoscano almeno i rudimenti della religione cristiana, così come, spiegando loro l'arte greca, mi devo sincerare che sappiano qualcosa riguardo Atena o Zeus (vi sorprenderà, ma sono più popolari del patriarca Noè, o almeno lo erano prima dell'uscita del film "Noah").

Le ricerche tradizionali sono quanto di più noioso io riesca a ricordare del mio passato di studentessa, ma organizzare una ricerca strutturandola come lavoro in team, è tutto un altro paio di maniche.



Organizzare un lavoro di gruppo non è così banale: occorre conoscere abbastanza i propri alunni da comporre gruppi equilibrati sia dal punto di vista delle capacità, sia dal punto di vista dell'affiatamento. 
Il secondo punto è quello più difficile. Mettere insieme persone che si detestano non è una buona idea, ma nemmeno abbinare chi è già amico per la pelle. 
L'obiettivo è quello di imparare a collaborare anche con persone non particolarmente amiche e di includere nel gruppo anche chi non è particolarmente popolare. Questo occorre dirlo chiaramente all'inizio dell'attività, e non sempre è facile farlo accettare ai ragazzi.
Se la composizione del gruppo la decido io, lascio a loro decidere i ruoli. Chiedo che eleggano un "responsabile" che rediga un resoconto accurato delle attività di ogni componente e che coordini i compagni, affidando ad ognuno dei compiti adatti alle diverse capacità.



All'inizio del lavoro io cerco di essere molto chiara su ciò che chiamo "standard di successo". Tradotto significa: ciò che ognuno deve fare se vuol prendere un buon voto. Chiarisco anche che, alla fine, la valutazione sarà personale, e non di gruppo. 

Durante il lavoro, lascio che prendano alcune decisioni autonomamente. Se intervengo, lo faccio sotto forma di proposta: "che ne dite se utilizziamo questo colore per lo sfondo?" oppure "con quale tipo di lettering vorreste realizzare i titoli?"
Non sempre sono così brava, però...  se vedo che stanno perdendo troppo tempo o che stanno perdendo di vista gli standard, mi innervosisco, e mi riprendo il ruolo classico della prof severa ed esigente... ho ancora molte cose da migliorare!

Al termine dell'attività è importantissimo dedicare del tempo alla presentazione del lavoro
Serve a far riflettere i ragazzi su ciò che hanno fatto, a mettere in luce i pregi e i difetti di ciò che è stato realizzato, chiedendo loro di motivare le scelte fatte. 
Si tratta di un momento fondamentale, sia per la valutazione, sia per l'autovalutazione.
Ho voluto svolgere questa attività in corridoio, all'esterno delle clessi, davanti ai cartelloni appesi. 

Il momento più bello è stato quello in cui ho chiesto con quale criterio ogni gruppo aveva scelto il proprio responsabile. Anche se con modalità differenti, tutti avevano saputo riconoscere, all'interno del proprio gruppo, la persona più affidabile, e l'avevano investita di quel ruolo, che era stato accettato con consapevolezza e, spesso, con una certa preoccupazione.
Chiaro segnale del fatto che l'obiettivo principale era stato raggiunto.

venerdì 1 agosto 2014

Disegnare un manifesto pubblicitario in stile "Art Nouveau"

Come ho già scritto, l'insegnamento della Storia dell'Arte risulta più efficace se abbinato ad un'attività pratica.
Per quanto riguarda l'Art Nouveau, l'attività che ho ideato è quella di realizzare un "manifesto" che tenti di rispecchiarne lo stile.
Gli elementi primcipali del manifesto pubblicitario "Art Nouveau" sono tre: la figura femminile, che all'epoca (e ancora oggi) era quella maggiormente utilizzata per reclamizzare ogni tipo di prodotto; la cornice decorativa, con motivi tratti dal mondo della natura, e la marca del prodotto pubblicizzato, scritta con caratteri elaborati e fantasiosi, che si armonizzavano perfettamente con il resto dell'immagine.
Insomma, gli alunni si devono confrontare con uno stile particolarmente ricercato ed elaborato, (vedi il post relativo all'analisi di un manifesto di A. Mucha) per nulla facile da riprodurre: per questo vengo loro in aiuto, fornendogli del materiale che gli faciliti il compito, e delle istruzioni chiare e dettagliate.

Eccole:

1) Scegliere una figura femminile tra quelle date.

 Facendo una ricerca su Internet, ho selezionato una dozzina di immagini in bianco e nero - sono più facili da fotocopiare - scegliendole tra le dive anni '50/'60. Quest'ultima è stata una scelta del tutto personale, in realtà si può fare l'esercizio utilizzando qualsiasi fotografia.
 
2) Ricalcare i tratti fondamentali utilizzando un foglio di carta da lucido.



Suggerisco di non sottovalutare la difficoltà di questo passaggio: le prime volte che ho assegnato questo compito, rimanevo stupita del fatto che i miei alunni avessero così grandi difficoltà in un compito apparentemente semplice come il ricalco. In realtà, ricalcare una fotografia è un compito molto arduo. Ricalcare un disegno è già più facile, ma nemmeno tanto. Ci vogliono attenzione, concentrazione, precisione, tutte abilità che andrebbero stimolate fin dalla scuola materna ed esercitate alla scuola primaria... dove ho l'impressione che esercizi come il ricalco siano da tempo abbandonati.

3) Aggiungere a piacere dei particolari in stile “Art Nouveau”, allungando i capelli, modificando gli abiti e i gioielli. Le linee del disegno devono essere curve e morbide, “tentacolari”.


In questa fase è utile mettere a disposizione degli alunni del materiale visivo, poster, cartoline, libri ecc. da cui trarre ispirazione.


4) Scegliere una cornice decorativa, che può essere ricalcata tale e quale, oppure modificata a piacere, purché mantenga lo stile “Art Nouveau”.

A tal scopo ho messo a disposizione dei ragazzi un buon numero di immagini come quella a fianco; su Internet ce ne sono moltissime, ma bisogna sceglierle in modo oculato: meglio che siano in bianco e nero per riprodurle più facilmente con la fotocopiatrice, con una buona risoluzione, perchè occorre ingrandirle, e non troppo elaborate.
 


5) Sovrapporre le due figure ricalcandole nello stesso foglio, in modo da formare un’unica figura. Lasciare in alto o in basso del disegno lo spazio necessario all’inserimento di una scritta.

A questo punto si ricalca su un normale foglio di carta da disegno (io faccio utilizzare sempre carta da disegno ruvida) e occorre farlo appoggiati alle finestre. I ragazzi si divertono a disegnare in piedi, specialmente quando tutte le finestre del laboratorio sono occupate e io sono costretta a mandare qualcuno a ricalcare in corridoio!

 6) Ripassare le linee con la Tratto pen nera e i contorni più esterni  con un pennarello nero per creare uno spessore maggiore. Aggiungere una scritta (il proprio nome o il cognome) realizzata con un lettering in stile “Art Nouveau”.


Anche per quanto riguarda il lettering, di solito metto a disposizione degli esempi di alfabeti "art nouveau" scaricati da Internet o fotocopiati da libri. In genere, prima di affrontare questo esercizio, ho già affrontato con i ragazzi l'argomento "lettering" e ho fatto fare loro le relative esercitazioni.
 

7) Terminare colorando con i pastelli (colori a matita). Scegliere colori tenui, specialmente per colorare il viso.
 A questo punto il lavoro è finito. Tempo di realizzazione: dalle 4 alle 6 ore (ovvero: due o tre settimane). Si, è un lavoro lungo, ma dà soddisfazione, sia a chi è portato per il disegno, sia a chi ha delle difficoltà, perchè con un po' di attenzione e pazienza, grazie al ricalco, anche i meno portati possono ottenere buoni risultati... purchè ci mettano impegno, ovviamente!

Buon lavoro!